L’evoluzione degli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo

Di | 9 gennaio 2019

La riscrittura quasi totale delle norme sul rapporto di lavoro – e quindi anche sul licenziamento – è stata una bandiera del Governo Renzi. A differenza delle precedenti norme, che al loro cambio riguardavano tutti i dipendenti o categorie omogenee, il job act ha creato una nuova divisione dei dipendenti: quelli assunti prima del 7 marzo 2015, a cui si continuano ad applicare le precedenti norme sul licenziamento, e quelli assunti dal 7 marzo 2015 (con contratto a tutele crescenti) a cui si applicano le nuove norme.

Ripercorriamo brevemente l’evoluzione della legislazione in materia per fare chiarezza sulla situazione attuale.

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Decreto legislativo 23/2015, noto come job act

Il job act ha ulteriormente e significativamente modificato le norme sui licenziamenti illegittimi, capovolgendo i principi della norma: se in precedenza come norma generale per il licenziamento illegittimo si prevedeva la reintegra nel posto di lavoro, ora la norma generale (per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2017, i così detti lavoratori con contratto a tutele crescenti) la norma generale è l’indennizzo, lasciando a rari casi la reintegra (licenziamento nullo, discriminatorio, orale, insussistenza del fatto contestato).

L’indennizzo – ed è la prima volta nella storia delle norme italiane in materia – non è definito dal giudice in funzione della valutazione dei fatti, ma “calcolato in modo automatico” sulla base dell’anzianità aziendale: 2 mensilità per ogni anno di anzianità, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità. Si prevede espressamente che il Giudice non possa modulare l’indennizzo, ma solo applicare la formula matematica: valore 2 mensilità x ogni anno di lavoro.

Il cambio del Governo ha ritenuto di dover modificare il job act: tali modifiche, che sono state molto significative nel rapporto di lavoro a tempo determinato e somministrato, hanno modificato in parte anche le precedenti norme sul licenziamento previste dal job-act.

Legge 96/2018

La legge 96/2018, a conversione del decreto dignità, ha confermato le logiche del job act:

  • Automatismo dell’indennizzo in funzione dell’anzianità aziendale
  • Nessuna valutazione da parte del Giudice sulla “quantità” dell’indennizzo
  • Differenti condizioni sulla gestione del licenziamento illegittimo tra dipendenti ante e post job-act

La legge ha però aumentato i risarcimenti minimi e massimi, portando da 4 a 6 mensilità l’indennizzo minimo e da 24 a 36 mensilità l’indennizzo massimo in caso di licenziamento illegittimo.

Per le aziende questa modifica ha certamente comportato dei costi teorici più alti, soprattutto per lavoratori con una breve anzianità aziendale, ma nel complesso non ha scardinato il “sistema job act”.

Appena uscito il job act, molti giuslavoristi hanno avuto dubbi sulla tenuta costituzionale di diverse sue clausole. In fase di giudizio anche un Giudice ha avuto perplessità su alcuni punti della nuova norma, con riferimento alle modifiche intervenute sui licenziamenti illegittimi. Ha rimandato così la valutazione del testo alla Corte Costituzionale che, delle diverse casistiche sottoposte alla sua attenzione, le ha ritenute tutte legittime ad eccezione di un punto: l’automatismo dell’indennizzo in funzione della sola anzianità aziendale.

Sentenza 194/2018

La sentenza della Corte Costituzionale 194/2018 (pubblicata il 8.11.2018), ha dichiarato incostituzionale il criterio di determinare l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato ancorandolo matematicamente alla sola anzianità di servizio.

Ad essere stato cassato, cioè non più applicabile, è quindi solo il criterio di misurazione dell’indennizzo, che è esattamente il principio cardine del job act e rendeva l’indennizzo certo, rigido, forfettizzato ed uguale per tutti. Si trattava di una regola uniforme per tutti i dipendenti (dirigenti esclusi), a prescindere dalle motivazioni che hanno portato al licenziamento e l’unico criterio distintivo era quello dell’anzianità aziendale.

Resta confermato il limite minimo e massimo (da 6 a 36 mensilità) nel quale tutto è rimesso al Giudice.

A questo punto cosa dobbiamo aspettarci?

Certamente, in una prima fase non potremo che vedere l’applicazione della norma (che la magistratura ha sempre auspicato come trasformata dalla Corte Costituzionale). Le aziende che hanno iniziato i giudizi, avendo previsto dei costi in caso di perdita, vedranno aumentare significativamente tali costi; le conciliazioni che avevano snellito le cause giacenti si ridurranno drasticamente e i Tribunali torneranno ad intasarsi.

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